<![CDATA[La filosofia di P.K.Dick]]>(altra ri-pubblicazione, con minime modifiche)

L’influenza (ma anche il fraintendimento e/o la banalizzazione) dell’opera di Philip K. Dick nell’immaginario contemporaneo è enorme. Si pensi ad es. ai film ispirati alle sue opere da “Blade Runner”, a “Minority Report”, passando per “Atto di forza”. E’ quindi interessante da più punti di vista esaminare la sua ideologia.

Un’esposizione abbastanza dettagliata e coerente di questa è presente in “Se vi pare che questo mondo sia brutto” (1). Naturalmente, come per ogni autore bisognerebbe parlare di varie “fasi”, nessuno scrittore è mai stato perfettamente coerente e lineare nel corso di tutta la sua carriera, tuttavia i tre saggi che compongono il volume danno una buona approssimazione dello sviluppo del suo pensiero. Vi anticipo subito che il seguito della frase del titolo è “dovreste vederne qualche altro”, se pensate che questo mondo sia brutto dovreste vedere gli altri. L’autore parte dalla considerazione che siamo sempre più circondati da quelli che oggi si chiamano “aggeggi smart”, apparentemente dotati di vita propria, e, in un certo senso di anima. Chiaramente una macchina, o è prevedibile o non è una macchina, ma la crescente complessità degli algoritmi che stanno alla base del funzionamento dei nostri lavastoviglie, lavatrice etc. potrà, in un prossimo futuro, dar luogo a comportamenti da parte di essi, inaspettati, anche se certo non imprevedibili. Qui apro una parentesi c’è una grossa differenza tra un comportamento inaspettato e un comportamento imprevedibile. Se una persona che non ha mai visto un automobile, che non conosce il codice della strada, incontra improvvisamente un’auto a guida autonoma (2); quella che si guida da sola beh, la crederà capace di autodeterminazione, almeno al livelli di un animale, comunque di un essere “animato”, mentre sappiamo che non è così, sappiamo che essa segue le regole del codice della strada, e che fa quello e basta. Allora cos’è che distingue l’uomo dalla macchina? Questa è una domanda cruciale per il nostro futuro e nel primo dei saggi che compongono il volume Philip K. Dick articola una risposta a mio parere molto interessante. L’uomo può fare una scelta morale, anche una scelta irresponsabile – la macchina no- l’uomo può essere -di proposito- inaffidabile, la macchina no. La macchina agisce in base ai suoi algoritmi etc. L’uomo, si comporta, o quantomeno dovrebbe comportarsi non in base a meccanismi. E così facendo, l’uomo crea la (sua) realtà; sceglie anche cosa considerare reale e cosa no (per esempio può scegliere di considerare come “non reali” le esperienze oniriche notturne). Un’automa invece non crea la sua realtà. Ora, a questo potremmo fare tutta una serie di obbiezioni, sia sul lato “Anche noi abbiamo i nostri meccanismi interni” sia dal lato “una macchina è reputata tanto più intelligente quanto le sue tra virgolette risposte sono indistinguibili da quelle umane”. Queste obbiezioni, anche se indirettamente vengono affrontate nel secondo dei saggi che compongono il volume: “Uomo, androide e macchina”.

Una macchina che interrompesse il suo programma per tornare a svolgerlo solo dopo una decisione consapevole agirebbe “umanamente”. Parlando della differenza tra uomini, androidi e macchine, viene fuori il tema dell’inganno, delle maschere perché qualcuno o qualcosa sembri ciò che non è (di nuovo una macchina è considerata tanto più intelligente quanto le sue risposte sono indistinguibili da quelle umane). E lì, bisogna dire, l’autore comincia ad andare sul mistico, perché secondo lui tutto quello che esiste “serve” a fin “di bene”, quindi visto che non è tutto rose e fiori quello che esiste bisogna che lo giustifichi in qualche modo, (in ultima analisi, la giustificazione di Dick è che non è “reale”). Anche il tempo è un inganno -sua concezione, peraltro molto ben articolata- ma comunque esso evolve verso il “disvelamento” finale. Anche noi abbiamo i nostri meccanismi interni -ma -e questa è la sua risposta all’obbiezione forse più frequente che si può muovere alla sua definizione della differenza tra uomo e macchina, anche questi fanno parte dell’inganno “a fin di bene”. Quindi arriva, a parlare dei rapporti tra conscio e inconscio, e su questa strada si arriva quindi alla sua concezione della divinità unica -si, perché secondo me uno dei più grossi limiti di Dick, che comunque è apprezzabile da una prospettiva materialista è quello di essere un monoteista d’acciaio, divinità che sarebbe immanente, in modo simile alle idee di Spinoza. Vi lascio senza “spoiler” il resto del saggio dicendovi solo che comunque è anche apprezzabilie -chiaramente fino a un certo punto- anche da una prospettiva materialista. La domanda “avrebbe la storia potuto andare anche in un altro modo? E cosa sarebbe successo allora?” è presente anche in autori ultra-materialisti, più o meno contemporanei del P.K.Dick -citerò per es. nel campo libertario il Murray Bookchin- e quella “cos’è davvero reale?” è presente per così dire in filigrana anche ad es. in molta letteratura marxista, per restare nel campo del materialismo. Più che per le risposte che P.K.Dick dà, secondo me è interessante leggerlo per le domande che lui si pone (e ci pone). Domande che hanno senso anche restando nel materialismo, e non necessariamente solo nel cosiddetto “materialismo dialettico”. Anche Il presunto fine della storia, o lo scopo di essa è comunque una domanda che viene fuori anche se non si legge P.K.Dick.

E queste domande sono alla base del terzo saggio del volume: “Se vi pare che questo mondo sia brutto, dovreste vederne qualche altro”. Qui l’autore espone le sue idee sul divenire storico e sulla struttura del reale. E di nuovo vi lascio senza “spoiler” pur avvertendovi che “và sul mistico”. Ma, ancora: quelle che sono interessanti sono le domande che l’autore si pone, domande che il tra virgolette “militante di sinistra” necessariamente affronta, anche se credo che pochi tra noi diano le stesse risposte del P.K.Dick, soprattutto nella sua fase più tarda e mistica.

(1)Philip K. Dick, Se vi pare che questo mondo sia brutto, Feltrinelli ed. Milano 1999
(2)https://it.wikipedia.org/wiki/Autovettura_autonoma

]]>