“Sorry we missed you”

(ripubblicazione con minime modifiche, data la continua attualità del tema)

L’attuale tendenza a mascherare lo sfruttamento del lavoro tramite un’apparente auto-imprenditoria, e soprattutto il mondo delle consegne a domicilio, ultima frontiera della “modernità” capitalistica, sono al centro dell’ultimo lavoro di Ken Loach, “Sorry we missed you”.

Il protagonista Ricky decide di diventare un corriere, teoricamente “freelance”, ma in pratica completamente subordinato ad una ditta di consegne a domicilio di articoli vari. Però, per far quello deve comprare un furgone e, per acquistarlo convince la moglie a vendere la sua auto (e di conseguenza lei dovrà prendere ogni giorno l’autobus nei suoi spostamenti come badante). Questo lavoro si rivela devastante per l’intero nucleo familiare, non solo per i ritmi disumani (oltre al resto, gli autisti sono anche costretti a urinare in una bottiglia per rispettare i tempi) ma anche perché il protagonista per portarlo avanti è costretto a trascurare la famiglia, e soprattutto i problemi adolescenziali del figlio maggiore  che finisce anche per commettere un piccolo furto. Anche la moglie ha i suoi problemi con il suo lavoro – che comunque le permette di sviluppare un profondo rapporto con le persone che assiste – e la mancanza dell’auto si fà sentire. Dopo varie vicessitudini, il protagonista viene assalito sul lavoro, pestato e derubato della merce che doveva consegnare. Ma il suo capo chiarisce che, a causa di questo furto e dei danni conseguenti, gli verrà chiesto di pagare di tasca propria una cifra altissima per risarcire l’attrezzatura rotta e le cose che gli sono state rubate. Il film si chiude con il protagonista che in un estremo tentativo di “sbarcare il lunario” si mette alla guida del furgone ancora con un occhio bendato e il resto del corpo pesantemente segnato….non cè una fine speranzosa ma la cruda realtà.

Questo film illustra in maniera magistrale come il riscatto di un membro della classe operaia non possa passare per la ricerca di un chimerico “arricchirsi”. Questo è un punto estremamente importante per noi che ci troviamo a vivere in un momento in cui l’auto-sfruttamento indotto dalle illusioni del sistema capitalista è diventato una delle principali catene da infrangere per buona parte della classe operaia. Il mondo del lavoro specialmente quello “di consegne veloci” è dipinto con grande realismo e con grande maestria, così come emerge magistralmente la psicologia dei personaggi e l’attuale contesto storico. Qualche perplessità può emergere di fronte a una certa idealizzazione della famiglia, idealizzazione del resto piuttosto diffusa in un momento come questo nel quale essa appare l’unica certezza in un mondo dove le cose non sono quelle che appaiono.

Bisogna che il lavoratore lotti, come diceva il Ricciardi, anche contro quella parte di sé che arricchisce il padrone. E senza confidare su istituzioni come la famiglia che nonostante le (eventuali) buone intenzioni dei propri membri finiscono inevitabilmente per generare e tramandare violenza e oppressione.


E concludo con una frase di Ken Loach “Questo capitalismo è intollerabile”



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