“DIzionARIO ANTIPSICHIATRICO”

“Le vie della psichiatria sono infinite. Si può essere accusati e rinchiusi in manicomio criminale, come è successo ad un esponente dei Verdi, anche con diagnosi di altruismo morboso” (1). Nonostante il “superamento” dei manicomi attraverso la famosa legge Basaglia, e nonostante la recente evoluzione che ha portato alla chiusura dei famigerati OPG (Ospedali Psichiatrico Giudiziari), la cronaca continua a riportare casi di morti per TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), “ricoveri forzati”, e simili….

Dove comincia la polizia finisce la scienza, e se per Freud come per Jung “è inutile cercare di guarire a tutti i costi” (2), dal lato poliziesco invece l’uso della psichiatria è noto fin dagli ultimi tempi dell’URSS, quando qualunque dissidente era automaticamente definito “malato di mente”. Qualcuno/a ricorderà persino il giudizio su simili pratiche da parte di Primo Levi “[…] comporta un uso abietto della scienza, ed una prostituzione imperdonabile da parte dei medici che si prestano così servilmente ad assecondare i voleri dell’autorità”(3). Sarebbe ipocrita applicare “due pesi e due misure” all’esperienza italiana e a quella dell’URSS del dopo Breznev…

Giuseppe Bucalo, nella sua opera “DizionARIO ANTIPSICHIATRICO” edito dalle edizioni Sicilia Punto L, demolisce molte delle convinzioni comuni sul tema della malattia mentale. Già nell’introduzione, ci porta a riflettere su “a chi serva” considerare certi comportamenti come “sintomi”, e sull’arbitrarietà del nostro giudizio circa la “follia” o la “normalità”.

Il primo capitolo si intitola “Che cos’è la malattia mentale?”. L’autore, ci dimostra che non esiste nessun criterio veramente scientifico. “Se ci trovassimo davvero in campo medico, ciò costituirebbe un paradosso” (4). Tutto ciò che è incomprensibile ( soprattutto se, per giunta, dà noia agli altri), è passibile di venire diagnosticato in campo psichiatrico. Peggio ancora, vista dalla giusta prospettiva, qualunque cosa può essere incomprensibile. “Teoricamente, e praticamente, noi potremmo ottenere una diagnosi psichiatrica per ognuno dei nostri familiari e amici”(5). Neppure gli psichiatri più esperti riescono a separare “il grano dal loglio”. L’autore riferisce di un esperimento in cui persone “sane” si sono (consapevolmente) presentate in strutture psichiatriche, fingendo “sintomi” per vedere se i medici riuscivano a separarli dai “malati”. E, nella totalità dei casi, i medici non sono riusciti a capire chi era “sano”. “Nel loro rapporto, gli sperimentatori citano il fatto paradossale che gli unici a nutrire dubbi sulla loro identità, erano stati altri ricoverati”(6). L’esperimento venne, in seguito, tentato anche “al contrario”. Venne annunciato ai responsabili di strutture psichiatriche che si sarebbero presentrati dei “falsi pazienti”. In realtà nessun “falso paziente” venne inviato. Ma i direttori sanitari delle strutture in questione rifiutarono ugualmente un gran numero di ricoveri, credendo che si trattasse di sperimentatori. Quindi….. mancano totalmente i famosi “criteri verificabili”che definiscono la scienza.

Il secondo capitolo è “Che cos’è l’antipsichiatria?”. Date le premesse, questa può essere solo un modo di porsi verso il comportamento altrui nel quale l’incomprensibile e quello che ci sembra incongruente non è un sintomo patologico e, per giunta “L’idea che senza il nostro aiuto la stragrande maggioranza dei pazienti psichiatrici si suiciderebbe, ucciderebbe qualcuno o vivrebbe sotto i ponti è del tutto infondata” (7).

Quest’ultimo concetto viene sviluppato nel capitolo successivo “Paradossi psichiatrici”; le cure moderne non potendo quindi avere serietà scientifica sono solo metodi di controllo. Nè è ravvisabile un qualche serio progresso nella loro evoluzione: “Il fatto di trattare meglio le persone non significa trattarle da persone”(8).

In “Ipotesi di sopravvivenza” l’autore dà qualche esempio, tratto dalle sue esperienze di medico, di quale può essere l’atteggiamento “antipsichiatrico”. Giuseppe Bucalo passa quindi a discutere dei pregiudizi più comuni su cosa sia l’antipsichiatria: essa non fornisce nessuna sociogenesi alternativa della cosiddetta “malattia mentale”, perché la scienza non è in grado di stabilire cosa la “malattia mentale” sia, e neppure se essa davvero esista; quindi l’uso degli psicofarmaci può giustificarsi solo al livello dell’uso di altri “generi voluttuari”(alcool, tabacco, caffè etc.); non si può parlare di abbandono quando invece si cerca di capire e di dialogare al posto di cercare il controllo e il contenimento. Chiude il volume un “dizionario minimo” con citazioni di vari studiosi.

Arrivati a questo punto, il lettore/lettrice permetteranno all’autore di questa recensione qualche considerazione a carattere generale.

Parlare di “sofferenza psichica” è parlare di qualcosa di estremamente comune a tutta l’umanità. E’ difficile confutare una vasta gamma di pensatori -dal Leopardi al Sofocle, da Baudelaire allo Shopenhauer, che hanno mostrato l’universalità della sofferenza, dicendo che “il sano non soffre”. Ogni vivente, soffre orribilmente in ogni attimo della sua esistenza (e, secondo molti: persino dopo morto, opinione con la quale concordo). Nessun tipo di cura “verrà a capo di ciò”. Al di là di questo, bisogna ricordarsi che se una società è democratica in quanto capace di accettare il dissenso al suo interno, allora non può discriminare quale dissenso sia “da sani” e quale “da trattamento obbligatorio”. Giordano Bruno, per fare “un nome a caso”, è stato bruciato vivo perché dissentiva sul modo di vedere la realtà della maggioranza delle persone del suo tempo. Allora veniva considerato “eretico” ma la sua concezione della pruralità dei mondi sarà certamente parsa anche “folle”. Adesso non bruciamo più gli eretici, li mettiamo in TSO in quanto “pazzi”. E’ cambiata solo la pena, non la condanna. E le giustificazioni che diamo a noi stessi sono pericolosamente simili a quelle che davano a se stessi gli inquisitori….


(1) Giuseppe Bucalo, DizionARIO ANTIPSICHIATRICO, Sicilia punto L edizioni, Ragusa 1997, pag 10
(2)Carl Gustav Jung, Introduzione alla psicologia analitica, Bollati Boringhieri editore Torino 2000, pag.149
(3)Primo Levi, Appendice a “Se questo è un uomo” Einaudi scuola Torino 1976 pag. 246
(4) Giuseppe Bucalo, op. cit.pag.36
(5)Giuseppe Bucalo, op.cit. pag.41
(6) Giuseppe Bucalo, op.cit. pag.42
(7) Giuseppe Bucalo, op.cit. pag. 59-60
(8) Giuseppe Bucalo, op. cit.pag.74



Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...