Una sorta di necrologio….

Giorgio_Antonucci

[…] la diagnosi psichiatrica è, ancor prima del manicomio, una via degradante senza ritorno. Infatti alcuni si suicidano, preferendo la morte, per non vivere come uomini di second’ordine. Però queste cose nessuno le dice. Se ne dicono altre. Si dice:”Dove li mettiamo i malati di mente perché non gravino sulle famiglie?”. Però alla domanda: “Ma cos’è questa malattia di mente?” lo specialista illuminato risponde con aria di competenza: “La malattia di mente è un mistero”. Non si dice che ognuno di noi può essere arbitrariamente giudicato malato di mente o sano di mente secondo le convenienze di chi comanda. E non si parla di una società umana violenta in cui i figli uccidono i genitori, i genitori maltrattano i bambini, le madri mandano i figli in carcere e tutta la vita familiare si svolge sul ricatto e sull’ipocrisia, ma soprattutto sulla mancanza di libertà. Così ci deve essere una disciplina che scheda le persone e le rinchiude col pretesto di aiutarle a vivere.” (1)

L’orrore e l’eccezionalità dei lager nazisti risiede anche (e, per chi scrive: soprattutto) nella divisione che veniva operata tra “umani” e “subumani”. Eccezionalità, perché sebbene la storia riporti altre campagne di genocidio, questa divisione, la pretesa di “scientificità” con cui era operata, e lo scrupolo con cui era condotta, ne facevano qualcosa di inedito. Se si vuol vedere qualcosa di simile, a parere di chi scrive, bisogna visitare (sempre che ve lo permettano!) il locale CSM (Centro Salute Mentale) o il locale SPDC ( Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura). Se la crudeltà è comunque minore, l’ipocrisia è certamente maggiore.

Varie fonti (2) riportano la notizia della morte, di Giorgio Antonucci, psicanalista, tra i principali esponenti dell’antipsichiatria in Italia. Sul piano pratico, dopo un periodo al fianco di Basaglia a Gorizia viene ricordato per il suo lavoro ad Imola, dove abolì i sistemi di contenzione fisica, fino allo “smantellamento” dei locali ospedali psichiatrici. Sul piano teorico, se da un lato proseguì quello che aveva già cominciato Basaglia, dall’altro si fece portavoce di una critica più radicale. In un intervista con Dacia Maraini (3) ad es. afferma: “E nel ‘68 che si è cominciato a discutere pubblicamente sull’esistenza o meno della malattia mentale. Io ho lavorato con Basaglia nel ‘69. Lui la malattia mentale la vede come una cosa dinamica che investe le persone meno resistenti. Per me la psichiatria è un’ideologia che nasconde i problemi reali delle persone ricoverate. Freud stesso diceva che occupandosi dei conflitti nevrotici aveva smesso di fare il medico e si era messo a fare il biografo”. Nella stessa intervista, come nelle sue opere, arriva a esporre una concezione che, sebbene possa ormai vantare anche molti altri sostenitori a livello internazionale, rappresenta senza dubbio un notevole passo in avanti rispetto alle ideologie oggi dominanti: “i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata.”

Ebbe vari riconoscimenti internazionali alla sua opera (4). Di lui rimane soprattutto “il sasso nello stagno” che ha gettato. Speriamo che i suoi successori sappiano continuare la portata rivoluzionaria della sua opera.

Qui parto con le “considerazioni personali” ovviamente: le mie, ossia del vostro affezionatissimo. Si può immaginare una psichiatria senza “costrizioni fisiche”. E sarebbe già un bel passo in avanti. Quantomeno si limiterebbero i morti per TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Si può immaginare una psichiatria “con meno farmaci”. E sarebbe già un bel passo in avanti. Quantomeno si limiterebbero i danni fisici. Ma tutto ciò non diminirebbe minimamente l’orrore che è la psichiatria. Persino il dialogo può essere una forma di tortura, se è esercitato come una forma di potere e/o è un dialogo tra una persona che può e che sa e un’altra che invece…

Sul tema “sofferenza” non è certo una forma di rispetto etichettare certe sofferenze come “patologiche”; bisogna anche sottolineare il fatto che accettarle come “normali” è al contrario non solo molto più rispettoso, ma è anche più “costruttivo” nell’ottica di superale. Superamento che, è bene dirlo,  può essere un opzione (e mai deve essere l’unica opzione) se e soltanto se c’è una consapevole scelta del soggetto in tal senso, scelta presa “nella sua solitudine”. Se invece è necessità imposta dall’esterno, si cade invariabilmente nel campo di orrori simil-nazisti.

Chi scrive è peraltro convinto che ad es. depressione, stati d’angoscia, allucinazioni, “dispercezioni” etc. (l’elenco può essere lunghissimo), vadano considerati come parte inseparabile della “normale”  esperienza di vita dell’ individuo “umano”. Neppure l’ateo più incallito negerebbe a Padre Pio il diritto di avere le stigmate (quindi Padre Pio viene considerato come “umano”), a una buona fetta della popolazione viene invece negato il diritto alla classica “crisi di nervi” (quindi non vengano considerati “umani”) pena farmaci, reclusione, etc.

Due punti mi sembrano fondamentali ragionando su questi temi: il primo consiste nel dovere morale che ognuno di noi ha sempre, in ogni momento, di accettare, rispettare o quantomeno: non contrastare le azioni di un individuo (chiaramente: purchè e finchè resta “un individuo”, e non una società, un gruppo, una funzione sociale, etc.) che si pone contro una società, storicamente e fisicamente definita anche quando questo contrasto assume forme “perturbanti”, e soprattutto anche quando non comprendiamo né magari condividiamo le ragioni che lo muovono.

Il secondo: ricordiamoci sempre che purtroppo “Il fatto che il principio stesso di realtà sia relativo, che serva gli interessi della Chiesa e del capitale e che siano questi a definirlo, è escluso dalla discussione, in quanto questione politica che, dicono, non ha nulla a che fare con la scienza. Il fatto che anche la sua esclusione sia politica non viene colto affatto” (5). Mettere in discussione “il principio stesso di realtà” è un compito etico a cui non possiamo in nessun momento sottrarci. Se poi si vuol parlare di scienza, questa può iniziare solo con il continuo dubitare delle certezze acquisite, (quindi anche del principio stesso di realtà) come Galileo Galilei ha convincentemente dimostrato..

 

 

(1) Giorgio Antonucci, Critica al giudizio psichiatrico. Ed. Sensibili alle foglie, seconda ed. 2005 Roma ,pag.98

(2) ad es. http://www.leggilanotizia.it/notizia/13259/antonucci-lo-psichiatra-che-non-voleva-i-manicomi

(3) http://www.nopazzia.it/Antonucci/marainiantonucci.htm

(4) ad es. http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2017/05/27/thank-you-for-being-a-champion-of-human-rights-per-il-dottor-giorgio-antonucci/

(5) W Reich La rivoluzione sessuale. Massari editore, 1992, Bolsena (VT), pag. 74



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