“Feedback”

(Già pubblicato “in vari luoghi” ma ancora attuale)

Della serie “cattivi consigli”, vorrei oggi che il lettore o la lettrice riflettessero su questa parola: feedback, in italiano: retroazione. Cosa significa questa parola per voi, per la vostra vita? E, in particolare, cosa significa questo concetto per I vostri “rapporti socio-economici”? Addirittura potrei parlare di “rapporti di classe”. Lo applicate? Davvero? Convinti? Sicuri? Torniamo indietro assieme di qualche passo. Dato che non vivo su qualche lontano pianeta, (contrariamente alla convinzione comune) sono circondato da persone che cercano lavoro, fanno colloqui, fanno vari corsi “di formazione”etc. Soprattutto in questi ultimi, (ma anche in molti altri ambiti…) viene posta la domanda “Come si affronta un colloquio di lavoro?”. Sgombriamo subito il campo da conclusioni affrettate: non esistono domande banali. Solo risposte banali. Oppure risposte “di scarsa qualità”. Se non erro, (non sono sicuro, comunque non ha importanza) è stato Carl Sagan, persona che ammiro moltissimo, a dire “la scienza serve per migliorare la qualità e la quantità di risposte che siamo in grado di dare”. E’ qui che entra in gioco il “ feedback” o retroazione. Nel rispondere alla domanda “Come si affronta un colloquio di lavoro?” interiorizzate, se posso usare questo termine, il concetto di “feedback”? Davvero? Convinti? Sicuri? E su cosa si basa questa sicurezza? Ora un ipotetico lettore o un’ipotetica lettrice “autocosciente” (non esistono) mi risponderebbe: “Mi sono messo/messa nei panni dell’interlocutore/interlocutrice, ho cercato di dare le risposte che al suo posto avrei voluto avere”. Oppure mi si potrebbe addirittura rispondere “Basandomi su una casistica X, ho dato quelle risposte che mi davano maggiori garanzie di successo”. Quindi siete convinti di applicare una sorta di “feedback”, date qualcosa per avere una risposta Y. Convinti? Nessuno “in sala” sostiene il contrario? Davvero? Chiaramente ho la certezza che rimarrete sulle vostre posizioni. Possiamo esaminiamo la questione da altri aspetti?No? Perchè? Qui ci troveremo di fronte a risposte diverse. Esaminarle tutte, ci porterebbe via più tempo di quello che la vostra pazienza consente. Ma sostanzialmente, la realtà è del tipo “così avete deciso e basta”. Cercherò brevemente di smontare un po’ la risposta: “è evidente che sia così”. Tutti concorderete che si tratta di una situazione “dialettica”, e sulla “scacchiera di Hegel” (vi piace questa immagine? Credo di non averla neppure coniata io), le mosse possibili sono limitate. Il punto è che voi stessi evitate persino di prendere in considerazione un certo numero di mosse possibili (rese possibili dalle “regole del gioco”). Voi avete già collettivamente bollato di “pessimismo” ad es. tutte quelle che potremmo definire le “strategie del giorno dopo”(ora vi spiego di cosa si tratta) malgrado che esse, storicamente, siano state (sembra) applicate con qualche risultato. E’ convinzione diffusa (c’è chi la mette in dubbio con argomenti storicamente fondati, ma come vedrete questo non ci interessa) che internet sia nato da una rete militare Usa. Ad un certo punto, il Pentagono avrebbe, secondo questa ipotesi, immaginato “Cosa succederebbe dopo, un attacco nucleare nemico coronato dal successo?” La risposta (secondo questa tesi) sarebbe stata “dobbiamo realizzare una rete di comando decentrata capace di resistergli”. Esaminiamo il “meccanismo di pensiero”. Ecco un esempio di “strategia del giorno dopo”, ipotizzare che la peggiore delle ipotesi realisticamente possibili sia già avvenuta, e agire di conseguenza. Ora i miei lettori e le mie lettrici esclameranno “Pessimismo!” se non “Paranoia!”…Ma la mia tesi è dimostrata: voi stessi esaminate un numero di “mosse possibili” più limitato di quante ne “permettano le regole del gioco”….Ed è anche una “illustrazione”, direi “da manuale” di come si possa strutturare una strategia sulla “retroazione”….Ora torniamo alla domanda iniziale: “Come si affronta un colloquio di lavoro?”, naturalmente non postulando che vi abbiano già scartati (ipotesi che renderebbe priva di senso la domanda), ma per esaminare le risposte che voi avete dato, ossia: “In modo che mi assumano a prescindere da ogni altra considerazione”. Davvero è “pessimistica” oppure “paranoica” quella che abbiamo definito la “strategia del giorno dopo”? Guardate che è molto più pessimistica e/o paranoica la tesi “l’interlocutore/interlocutrice non può trovare da sé ragioni sufficienti ad assumermi”. Ma torniamo al “feedback”. Ora, che tipo di feedback dà la vostra risposta? Esaminiamola un po’. Dato che tutti o quasi rispondano “In modo che mi assumano a prescindere da ogni altra considerazione”, l’interlocutore/interlocutrice è portato ad “alzare sempre più l’asta” delle sue richieste. No? E voi “a saltare sempre più alto”. Poi, facendo questa volta “l’ipotesi più favorevole”, se venite assunti, dovete in qualche modo adempiere a quanto avete promesso. E vi trovate di fronte a lavori sempre peggiori. Ecco come il meccanismo del “feedback” lavora contro di voi. Siete ancora convinti, di avere “interiorizzato” il concetto di “retroazione”?


Una sorta di necrologio….

Giorgio_Antonucci

[…] la diagnosi psichiatrica è, ancor prima del manicomio, una via degradante senza ritorno. Infatti alcuni si suicidano, preferendo la morte, per non vivere come uomini di second’ordine. Però queste cose nessuno le dice. Se ne dicono altre. Si dice:”Dove li mettiamo i malati di mente perché non gravino sulle famiglie?”. Però alla domanda: “Ma cos’è questa malattia di mente?” lo specialista illuminato risponde con aria di competenza: “La malattia di mente è un mistero”. Non si dice che ognuno di noi può essere arbitrariamente giudicato malato di mente o sano di mente secondo le convenienze di chi comanda. E non si parla di una società umana violenta in cui i figli uccidono i genitori, i genitori maltrattano i bambini, le madri mandano i figli in carcere e tutta la vita familiare si svolge sul ricatto e sull’ipocrisia, ma soprattutto sulla mancanza di libertà. Così ci deve essere una disciplina che scheda le persone e le rinchiude col pretesto di aiutarle a vivere.” (1)

L’orrore e l’eccezionalità dei lager nazisti risiede anche (e, per chi scrive: soprattutto) nella divisione che veniva operata tra “umani” e “subumani”. Eccezionalità, perché sebbene la storia riporti altre campagne di genocidio, questa divisione, la pretesa di “scientificità” con cui era operata, e lo scrupolo con cui era condotta, ne facevano qualcosa di inedito. Se si vuol vedere qualcosa di simile, a parere di chi scrive, bisogna visitare (sempre che ve lo permettano!) il locale CSM (Centro Salute Mentale) o il locale SPDC ( Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura). Se la crudeltà è comunque minore, l’ipocrisia è certamente maggiore.

Varie fonti (2) riportano la notizia della morte, di Giorgio Antonucci, psicanalista, tra i principali esponenti dell’antipsichiatria in Italia. Sul piano pratico, dopo un periodo al fianco di Basaglia a Gorizia viene ricordato per il suo lavoro ad Imola, dove abolì i sistemi di contenzione fisica, fino allo “smantellamento” dei locali ospedali psichiatrici. Sul piano teorico, se da un lato proseguì quello che aveva già cominciato Basaglia, dall’altro si fece portavoce di una critica più radicale. In un intervista con Dacia Maraini (3) ad es. afferma: “E nel ‘68 che si è cominciato a discutere pubblicamente sull’esistenza o meno della malattia mentale. Io ho lavorato con Basaglia nel ‘69. Lui la malattia mentale la vede come una cosa dinamica che investe le persone meno resistenti. Per me la psichiatria è un’ideologia che nasconde i problemi reali delle persone ricoverate. Freud stesso diceva che occupandosi dei conflitti nevrotici aveva smesso di fare il medico e si era messo a fare il biografo”. Nella stessa intervista, come nelle sue opere, arriva a esporre una concezione che, sebbene possa ormai vantare anche molti altri sostenitori a livello internazionale, rappresenta senza dubbio un notevole passo in avanti rispetto alle ideologie oggi dominanti: “i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata.”

Ebbe vari riconoscimenti internazionali alla sua opera (4). Di lui rimane soprattutto “il sasso nello stagno” che ha gettato. Speriamo che i suoi successori sappiano continuare la portata rivoluzionaria della sua opera.

Qui parto con le “considerazioni personali” ovviamente: le mie, ossia del vostro affezionatissimo. Si può immaginare una psichiatria senza “costrizioni fisiche”. E sarebbe già un bel passo in avanti. Quantomeno si limiterebbero i morti per TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Si può immaginare una psichiatria “con meno farmaci”. E sarebbe già un bel passo in avanti. Quantomeno si limiterebbero i danni fisici. Ma tutto ciò non diminirebbe minimamente l’orrore che è la psichiatria. Persino il dialogo può essere una forma di tortura, se è esercitato come una forma di potere e/o è un dialogo tra una persona che può e che sa e un’altra che invece…

Sul tema “sofferenza” non è certo una forma di rispetto etichettare certe sofferenze come “patologiche”; bisogna anche sottolineare il fatto che accettarle come “normali” è al contrario non solo molto più rispettoso, ma è anche più “costruttivo” nell’ottica di superale. Superamento che, è bene dirlo,  può essere un opzione (e mai deve essere l’unica opzione) se e soltanto se c’è una consapevole scelta del soggetto in tal senso, scelta presa “nella sua solitudine”. Se invece è necessità imposta dall’esterno, si cade invariabilmente nel campo di orrori simil-nazisti.

Chi scrive è peraltro convinto che ad es. depressione, stati d’angoscia, allucinazioni, “dispercezioni” etc. (l’elenco può essere lunghissimo), vadano considerati come parte inseparabile della “normale”  esperienza di vita dell’ individuo “umano”. Neppure l’ateo più incallito negerebbe a Padre Pio il diritto di avere le stigmate (quindi Padre Pio viene considerato come “umano”), a una buona fetta della popolazione viene invece negato il diritto alla classica “crisi di nervi” (quindi non vengano considerati “umani”) pena farmaci, reclusione, etc.

Due punti mi sembrano fondamentali ragionando su questi temi: il primo consiste nel dovere morale che ognuno di noi ha sempre, in ogni momento, di accettare, rispettare o quantomeno: non contrastare le azioni di un individuo (chiaramente: purchè e finchè resta “un individuo”, e non una società, un gruppo, una funzione sociale, etc.) che si pone contro una società, storicamente e fisicamente definita anche quando questo contrasto assume forme “perturbanti”, e soprattutto anche quando non comprendiamo né magari condividiamo le ragioni che lo muovono.

Il secondo: ricordiamoci sempre che purtroppo “Il fatto che il principio stesso di realtà sia relativo, che serva gli interessi della Chiesa e del capitale e che siano questi a definirlo, è escluso dalla discussione, in quanto questione politica che, dicono, non ha nulla a che fare con la scienza. Il fatto che anche la sua esclusione sia politica non viene colto affatto” (5). Mettere in discussione “il principio stesso di realtà” è un compito etico a cui non possiamo in nessun momento sottrarci. Se poi si vuol parlare di scienza, questa può iniziare solo con il continuo dubitare delle certezze acquisite, (quindi anche del principio stesso di realtà) come Galileo Galilei ha convincentemente dimostrato..

 

 

(1) Giorgio Antonucci, Critica al giudizio psichiatrico. Ed. Sensibili alle foglie, seconda ed. 2005 Roma ,pag.98

(2) ad es. http://www.leggilanotizia.it/notizia/13259/antonucci-lo-psichiatra-che-non-voleva-i-manicomi

(3) http://www.nopazzia.it/Antonucci/marainiantonucci.htm

(4) ad es. http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2017/05/27/thank-you-for-being-a-champion-of-human-rights-per-il-dottor-giorgio-antonucci/

(5) W Reich La rivoluzione sessuale. Massari editore, 1992, Bolsena (VT), pag. 74


Apologia del boudoir (parte 2)

(prosegue da https://corsivimistiallabrace.wordpress.com/2014/03/26/apologia-del-boudoir-parte-1/)

….in realtà non solo non è affatto logico che voi non mi prendiate sul serio il De Sade, ma questa è appunto una delle cause del fatto che nonostante le sue opere si trovino anche al supermarket, l’umanità non ne trae il benchè minimo giovamento…

Riflettete…. “la ripetizione è la madre dello studio”, ripeterò dunque quanto già affermato…Voi fate di peggio di qualsiasi eroe del Marchese….Come è che ne sono tanto sicuro? Ma è semplice: qualsiasi persona di mia conoscenza …E’ artefice di atti ben peggiori, quindi posso ragionevolmente supporre, pur non conoscendovi che anche voi…

Ora: se dunque voi fate cose ben peggiori, (e per motivi ancora meno giustificabili), si potrebbe supporre che, qualsiasi presa di coscienza, come quella che potrebbe portarvi la lettura del De Sade, sia un lodevole passo nella famosa direzione di “estendere l’area della consapevolezza”. Non è così; perchè?

Sgombriamo subito il campo da conclusioni affrettate: io non vi stò suggerendo di imitare i protagonisti delle opere del Marchese: sarebbe troppo innaturale per voi, e come tutte le cose troppo artificiali “non riuscirebbe bene”.

C’è in effetti un’altra ragione per cui, come ho scritto prima, nonostante le sue opere si trovino anche al supermarket, l’umanità non ne trae il benchè minimo giovamento. E’ quella di considerare le sue opere come “volgarmente” pornografiche, senza esaminarne le idee.

Con qualche ironia (neppure troppa, benchè non condivida la spiritualità dell’autore) citerò come “teste della difesa” lo Stephen E. Flowers, che nella sua opera “Lords of the Left-hand path” osserva come le opere del Marchese siano difficilmente da classificare come “pornografiche” come ritengono coloro che non le hanno mai lette (o come ritengano coloro che le hanno lette solo superficialmente, aggiungo io). Potrei del resto, chiamare “al banco” anche testimoni più autorevoli.

Analogamente a quanto accade ad es nelle opere di Voltaire, in quelle del Marchese, gli avvenimenti dei protagonisti si amalgamano alle dichiarazioni filosofiche. Ora, adesso io potrei iniziare una disamina delle idee del Marchese, ma purtroppo le leggi che anche qui in Italia regolano la cosiddetta “libertà di espressione”, e che sono molto più restrittive di quanto il pubblico crede, mi impongano la scelta tra l’ipocrisia e il carcere. Scelgo una terza via, e ….eviterò la prevista disamina….

Accennerò solo brevemente al fatto che -a mio avviso- anche le apparenti aporie dei vari ragionamenti dei protagonisti delle sue opere, si inscrivono, a mio parere, in una coerente esposizione, nella quale è centrale la difesa della centralità dell’individuo.

Adesso devo resistere alla tentazione di scadere nell’aneddoto e di raccontarvi qualche caso (della vita …che passiamo vestiti, sia chiaro) in cui l’applicazione di idee, di concetti, nonché di nozioni del De Sade ha “fatto la differenza”. Anzi no, sia pure limitatamente cederò alla tentazione (essendo del resto tentato di raccontarvi fatti molto più stringenti) e mi concedo di accennare a come il sottoscritto, abbia a volte stupito il suo uditorio dimostrando che i meccanismi del giornalismo sono esattamente descrivibili (arriverei quasi a dire: matematicamente prevedibili -almeno nei momenti migliori intendo, non nelle quotidiane bassezze- ) nei termini delle 120 Giornate di Sodoma; anche senza la riprova della famosa tirata che H.S.Thompson pone in “Paura e disgusto a Las Vegas”, quella famosa che comincia con “Il giornalismo non è né una professione né un mestiere etc.” e che guarda caso continua con l’accenno all’autoerotismo….

Ma tutto questo per voi è certo fuorviante; mi limito ad invitarvi ad una sorta di “esperimento teorico”: come cambierebbe il vostro modo di vedere le cose, se accettaste e prendeste sul serio il Marchese? (ancora: non imitando i protagonisti delle sue opere, ma…)

Se non fosse per altro, tendo a farvi notare l’intento didattico di opere come “La filosofia nel boudoir”; vi è stato fatto il favore di tentare di istruirvi, ne volete trarre qualche vantaggio? Se perseverate nel vostro atteggiamento (ossia nel non tenere conto dei suoi insegnamenti), non ne ricaverete nessun beneficio…

Arriviamo a qualche conclusione: a) il vedere le opere del Marchese come letteratura d’evasione; c) l’attribuirgli un intento puramente pornografico; nonché c) la “spocchia” del lettore medio, che si sente a torto moralmente superiore -quando la sua vita quotidiana dimostra proprio il contrario- portano al fatto che l’umanità non ne trae alcun giovamento.

Osservate la Juliette: non perviene forse ad una vita intensa e felice proprio quando le premesse iniziali ne erano contrarie? Osservate molti dei libertini: non sono tali malgrado….quelle limitazioni della natura che teoricamente dovrebbero appunto impedirgli di….? Quindi quantomeno vedetelo -come hanno fatto in molti- ad un inno alle sempre aperte possibilità della vita umana.

La grandezza del De Sade (oltre ad avere compreso che eccitazione e orgasmo sono i soli, se non i migliori, moventi di ogni nostra azione) consiste nell’avere mostrato (e dimostrato, con la sua vita) la vittoria della ragione ( e magari anche di una volontà davvero consapevole e libera, perchè non può esistere libertà senza consapevolezza) sulle limitazioni della carne, della società, dell’ignoranza.


Apologia del boudoir (parte 1)

Il tema non è dei più originali, né lo sarà la sua trattazione, ma…dato che questo è il luogo per i materiali che non posso mettere da altre parti…

Generalmente parlando, sono sempre molto curioso di leggere i commenti di perfetti sconosciuti, che trovo scritti a margine nei libri usati….Devo dire però che lo sconosciuto (o meno probabilmente, la sconosciuta) che ha commentato la mia copia di “Storia di O.” ….come si dice? “Non ci ha dato”…. Infatti commenta sul frontespizio: “Opera noiosa e non più eccitante di un campo di nudisti”.

Esaminiamo “i due corni del problema”; ossia a) se si tratti di un opera noiosa e b) se si tratti di una lettura “eccitante”, e, se in caso contrario, ciò costituisca “una pecca” dell’opera in esame.

Cominciamo dal punto b).

Non che ci sia qualcosa di (a mio avviso) eccitante nel suddetto libro. Certo, la risposta alla domanda: “che cos’è eccitante”, è quanto di più soggettivo ci possa essere a questo mondo. Conosco personalmente qualcuno che trova “sessualmente eccitanti” una delle cose che elencherò…..ossia: la matematica, la ruggine del ferro, le ferrovie, i vecchi faldoni di fatture, etc. etc. E, naturalmente, se esaminiamo il successo editoriale dell’opera in questione….In migliaia lo hanno comprato, e per giunta per quello…

Ma….. “Sarò io”, però … trovo difficile immaginare un lettore (o una lettrice) che conoscendo per sommi capi la trama del libro in questione… lo legge per eccitarsi. A meno che il lettore o la lettrice in questione non abbia provato le sue più forti emozioni alla lettura della “Metafisica” di Aristotele…Cosa, questa, che, nell’ infinito della casistica del reale sarà sicuramente accaduta, prima o poi… Inoltre, vi anticipo subito che, come vedranno i lettori che avranno la pazienza di seguire il mio ragionamento fino in fondo, (e, premetto….dovrete arrivare in fondo alla “parte 2”) personalmente non credo che fosse quello “lo scopo principale” dello scrivere libri di quel genere.

Dunque, se l’eccitamento è per forza di cose soggettivo, e quindi se deve rimanere indeterminato se ciò costituisca o meno un difetto del libro in esame, resta da smontare la tesi secondo cui si tratta di un libro “noioso”. Benchè a tratti interessante, e prescindendo dalla mia opinione contraria a molte delle tesi lì esposte, la “Metafisica” di Aristotele è certamente un libro noioso, non tanto per l’argomento, quanto per l’esposizione pedante e per il “pesante” stile dell’autore. Quanto è più “godibile” lo stile, sia pure “freddo” della Pauline Réage! In quanto ai contenuti, (e questo è il punto dove volevo condurvi), in entrambe le opere, il tema si colloca al di là dell’esperienza vissuta; e la mia opinione su “Storia di O.” potrebbe iniziare con qualcosa del genere: “Si tratta in realtà, di una specie di Queste, ossia un’inchiesta o ricerca, metafisica, che, sebbene assimilabile, per certi aspetti, alle ordalie, ben note alla spiritualità nordica, pur tuttavia se ne distacca, innanzitutto per il suo carattere laico e per altri aspetti, come ad es. ..etc. etc.”. Ora, una disamina della “Storia di O.” non è tra gli scopi di questo articolo, quindi abbandoneremo qui il discorso….Ma comunque…è tutt’altro che un libro noioso…

Dopo avere frettolosamente notato che mi ripropongo di ripetere (anche) tesi “già viste e già sentite”, continueremo ad esaminare i campi del noioso e quelli del metafisico. Sul secondo ritornerò tra un attimo, parlerò innanzitutto del primo. Nove lettori su dieci delle opere del De Sade, le collocano (o quantomeno, collocano molte di esse), nella categoria. Perchè? In parte, con qualche affinità con il mio collocare nella categoria suddetta, la “Metafisica” di Aristotele. E, parzialmente, si deve riconoscere una qualche similarità nell’esposizione, ad es. de’ “Le 120 giornate di Sodoma” con le opere più pedanti dello stagirita.

La colpa però è di Aristotele, non del De Sade. Se il primo non avesse impostato il discorso sulla metafisica in quella maniera, il secondo -a mio avviso- non si sarebbe “regolato di conseguenza”. Il confronto – ancora tra la “Metafisica” di Aristotele, da un lato, e le opere del De Sade, nel loro insieme, ma particolarmente quella, a mio avviso più compiuta, ossia la “Juliette”, dall’altro – io, lo risolvo tutto a favore del francese.
Tra un momento parlerò di metafisica, ma continuiamo il discorso sul perchè molti lettori trovano noioso il De Sade. In realtà sono più quelli che si annoiano che quelli che lo detestano. Così è anche per la “Metafisica” di Aristotele. E tra i primi, (quelli che si annoiano) si annoverano anche persone che io stimo molto…Ma una certa percentuale “si annoia” (intendo : con il Sade) per motivi che non sono affetto “nobili”. Ossia perchè il marchese ha la sgradevole abitudine di porre, involontariamente certo, e in maniera assolutamente innnocente e “naivè”, uno specchio di fronte al lettore, il quale, nei casi che stiamo esaminando, a) trova uno spettacolo assolutamento consueto (non ci guardiamo forse allo specchio tutte le mattine?); b) e per giunta non è affatto disposto a riconoscere quanto sia consueto, vedere nel proprio intimo proprio quello che Sade descrive. Di qui la reazione di fastidio e noia. Non una forte opposizione: non si è così ipocriti. Solo fastidio.

(Poi certo, esistono anche gli ipocriti; quelli che vorrebbero che le opere del Marchese continuassero ad essere bandite. Ma sono ormai in minoranza, perciò li ignorerò.)

Per quanto riguarda l’attinenza con la realtà “esterna” debbo disilludere quanti vorrebbero il Sade descrittore, profeta o quant’altro di qualcosa che è nella “realtà dei fatti” passati, presenti o futuri come ad es. chi vorrebbe un Sade anticipatore o in qualche misura sostenitore del fascismo, del nazismo, di questa o quell’altra oppressione. Come, d’altra parte chi vorrebbe un Sade anticipatore di Freud o di altri. Non solo per le (apparenti o reali che siano) aporie del discorso del marchese, ma per altre questioni che esporrò in estrema sintesi.

Cominciamo con la tesi secondo cui il Marchese, in qualche modo anticiperebbe i regimi totalitari del ‘900 come il nazismo, oppure secondo cui il De Sade espone principi della tirannia sotto questo o quel regime esistente o esistito “nella realtà dei fatti”.

La confutazione principale di questa tesi potrebbe suonare come quella difesa dei sofisti fatta da qualcuno ossia che “Gli autori del massacro dei Melii, non avevano nulla da imparare dai sofisti in fatto di crudeltà”. Un signor Brambilla qualsiasi, l’essere umano medio di qualunque epoca storica (lascio solo il dubbio sul lontanissimo passato e sull’altrettanto lontanissimo futuro), nella sua vita quotidiana commette quantomeno crimini e atrocità ben peggiori di quelle di cui è protagonista qualsiasi personaggio del De Sade…..Anche se, il signor Brambilla, non le compie, è vero, per passione, ma per “piccineria”, paura o per qualche piccola convenienza….fatto questo che non depone certo a suo favore.

Il De Sade, uomo di fantasia fervida, ma isolato (particolarmente nell’ultimo periodo della sua vita)…non riuscì ad immaginare di cosa fosse (e di cosa sarebbe stato) capace “l’essere umano medio”…Di qui l’impressione “naivè”….o se preferite, l’impressione “ricreativa” che tutta la sua opera, dà al lettore o alla lettrice smaliziato/a…..Opera, la sua, che è enormemente lontana dalla profonda, anche se banale, atrocità del vissuto quotidiano della sua epoca, della nostra o di qualsiasi altra….se, abbandoniamo per un momento le ipotesi su quanto avveniva nella preistoria, o di quanto potrebbe avvenire in un lontano futuro.

(continua)


La Repressione, tramite la legge, del Minorenne

(Questo articolo è stato pubblicato alcuni anni fa, sulla rivista “Lo Scomodo”. Dato che la suddetta rivista non esiste più, ma che l’articolo, benchè ormai “datato”, non ha perso completamente di attualità, ho creduto opportuno ripubblicarlo, con minime correzioni. Comunque, quando si parla di “comunità” ci sono alcune imprecisioni, che sono troppo pigro per correggere)

La struttura repressiva “par excellence” per i minorenni, non è il carcere bensì la famiglia. Non tratteremo questo aspetto della questione, anche se, come vedremo, ciò è ampiamente riconosciuto (“de jure”) dalla legge. Dove finisce l’azione della famiglia comincia quello della polizia. Qui inizia la nostra indagine. Cominciamo col dato empirico che il minorenne in stato di fermo o di arresto, specie se accusato di crimini “violenti”, ha probabilità molto maggiori dell’analogo maggiorenne di essere soggetto di abusi, specialmente se extracomunitario, clandestino, o apolide. I suoi diritti sono (“de facto”) comunque minori: se denuncia un abuso difficilmente è creduto, la sua testimonianza ha minore peso, si hanno meno riguardi etc. Tribunale e magistrato per i minori sono formalmente separati da quello ordinario. La discrezionalità del magistrato, per quanto riguarda i minorenni, è amplissima, è non è mai chiara la linea di confine tra abuso e azione legittima. Nello spirito delle attuali norme, il carcere per i minorenni dovrebbe essere una sorta di estrema risorsa repressiva a disposizione del magistrato. Prima di giungere a quello si tenta con l’affidamento alla famiglia, o ad una comunità, (utilizzate quindi come strumenti repressivi). Esiste anche l’istituzione della cosiddetta “messa in prova”, lasciandolo o ponendolo all’interno, ancora, della famiglia, o della comunità. Prima di ricorrere al carcere, o dopo una permanenza “x” in esso, si “prova” se il soggetto “delinqua” ancora o meno, impiegandolo in lavori che vengano definiti come “socialmente utili”. Anche il “metodo sperimentale” ha trovato la sua grottesca applicazione nel campo. La famiglia, definita secondo i canoni del cristianesimo (ideologia dominante), è riconosciuta dalla legge come la “prima istanza” repressiva. Non sempre però il magistrato ritiene la famiglia efficace oppure volenterosa. Si può trattare di un nucleo familiare i cui membri siano disoccupati-nullatenenti, pregiudicati, detenuti, tossicodipendenti, clandestini, residenti all’estero o addirittura irreperibili (caso non così infrequente, specie tra i cosiddetti “nomadi”). In questi casi, per “qualsiasi sciocchezza” si può giungere in carcere (ad es. con l’uso della cosiddetta “custodia cautelare”) Ricordiamo che il magistrato in questione dispone di ampia discrezionalità, e l’affidamento alla famiglia di origine può venire rifiutato per un’ ampia gamma di ragioni, non sempre intellegibili. Diremo semplicemente che se la famiglia è di basso livello socio-economico, oppure di origini extracomunitarie, (o ancora: se i suoi membri sono ritenuti inaffidabili/irreperibili) è probabile che il magistrato non la ritenga idonea. Il secondo gradino è la comunità. Le comunità esistenti spaziano da strutture semplicemente costituite da un prete cattolico che aggiunga qualche letto alla sua sacrestia, fino a realtà gestite da associazioni e molto strutturate. Alcune di queste sembrano essere veri lager, in altre “l’ospite” viene (quasi) lasciato totalmente a se stesso. Non viene fatta alcuna differenza formale tra queste, ed è solo il caso (ma anche: la disponibilità di posti-letto nell’immediato) che determina la destinazione ad una o ad un’altra comunità. Non sempre il magistrato reputa il soggetto idoneo alla comunità. A volte (e questo rientra nella discrezionalità del suddetto magistrato) un soggetto x viene fatto stare y tempo in carcere e poi improvvisamente (buona condotta o meno) trasferito in una comunità. Enumeriamo alcune particolarità del carcere minorile, dando per scontato che il lettore o la lettrice siano al corrente delle pratiche generalmente in uso nelle strutture detentive, quali ad es. il mantenimento “sotto farmaci” dei soggetti più irrequieti. Le regole e la vita dentro il carcere minorile sono generalmente solo un pò migliori di quelle del carcere per “adulti”. Si hanno cortili più spaziosi, regolamenti più blandi, carcerieri senza uniforme. Un discorso a parte andrebbe fatto per quanto riguarda i farmaci, qui impiegati quasi esclusivamente in funzione repressiva. Un minore che entri in carcere viene (dopo formalità che il lettore può immaginarsi da solo) formalmente affidato ad un educatore. Ci sono educatori che “educano” altri che si considerano guardiani, altri ancora che non fanno alcunchè. Grosso modo possiamo dire che viene svolto l’obbligo scolastico, poi si fanno attività più o meno “formative”. Possiamo osservare che la vita dentro il carcere minorile è più “attiva” di quella dentro il carcere per adulti. Non necessariamente questo è un fattore positivo. Se il dettato costituzionale secondo cui la pena deve “rieducare” è di fatto disatteso per i maggiorenni, per quanto riguarda i minorenni, questo è strumentalmente utilizzato per giustificare qualsivoglia genere di oppressione, se non di abuso. Si giunge all’estremo di vedere inflitte punizioni corporali, perlopiù da parte degli agenti di custodia, con la scusante di voler “educare”. Ma anche senza voler giungere a questo, possiamo empiricamente osservare come “educare” sia, utilizzato come scusante per costringere, comandare, o quantomeno spegnere ogni barlume di individualità…Gli educatori sono sottoposti ad un educatore-capo, ed il magistrato visita saltuariamente la struttura (o almeno può visitare saltuariamente la struttura). I trasferimenti da carcere a carcere, come quelli da carcere a comunità, avvengono a discrezione del magistrato, tranne i casi di conclamata “incompatibilità ambientale” (generalmente tentativi di evasione). Empiricamente osserviamo che sono frequenti, e, di nuovo, spesso privi di ogni ragione intellegibile. Sembra che i legislatori abbiano voluto “traslare” l’autorità (in origine?) paterna della “patria podestà” sulla figura del magistrato. Le analogie sono inquietanti, e non gettano una buona luce né sulla famiglia né sui legislatori. Ultimamente sta prendendo piede l’abitudine di colpire qualsiasi comportamento “non appropriato” del minore (uso di alcolici, scritte sui muri, etc.), tramite sanzioni economiche, che chiaramente chiamano in causa la famiglia del soggetto. Questo ci riporta al punto di partenza ossia all’ uso repressivo della struttura familiare.


Have sex Hate sexism

Have sex Hate sexism